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domenica 15 aprile 2018

Il coniglio al Porto secondo Totò.


Totò, al secolo Antonio De Curtis. Alzi la mano chi non ha visto un suo film almeno una volta! I suoi sono diventati un cult del cinema italiano e lui, come tutti i grandi, è stato rivalutato solo dopo la sua morte.  Il mio preferito? “Miseria e nobiltà”, un film che mette in evidenza il contrasto di una lussuosa e opulenta nobiltà con la drammaticità della povertà che deve sbarcare il lunario come può in un’epoca difficile e dura per chi non era titolato. La scena più emblematica è quella di Totò, carponi sul tavolo imbandito, che addenta degli spaghetti e il cibo è, più o meno, il filo conduttore di tutto il film. Oggi, nella giornata a lui dedicata, il Calendario del Cibo Italiano ha creato, con la collaborazione di alcune blogger che ne fanno parte, un menù con altrettante ricette tratte dal libro “Totò. Fegato qua fegato là, fegato fritto e baccalà” di Liliana De Curtis (figlia dell’attore) e Matilde Amorosi edito da Rizzoli. Tra queste ritroverete anche la mia che vi descrivo qui sotto e che vi raccomando di provare perché è davvero buona buona. Troverete il menù completo qui, provatelo… sarà un po' come stare a tavola con il grande Totò.

Coniglio al Porto


Ingredienti (per 4 persone):

1 coniglio a pezzi
2 bicchieri di Porto
1 cucchiaio di farina
1 cipolla
1 tazza di passata di pomodoro
1 manciata di basilico
1 rametto di menta
1 ciuffo di prezzemolo
1 cuore di sedano
1 tazzina di capperi
20 olive verdi snocciolate
1 melanzana
1 peperone
2 patate
Olio extravergine d’oliva
Olio di semi da frittura (io uso quello di arachidi)
Sale e pepe

Procedimento

In una pirofila di vetro disporre i pezzi del coniglio, senza sovrapporli, insieme allo spicchio di aglio, il prezzemolo e un bicchiere di Porto. Lasciare marinare, coperto, per circa quattro ore, quindi asciugare bene il coniglio, infarinarlo leggermente e farlo rosolare in una padella con olio di oliva. In una casseruola a parte fare soffriggere in olio cipolla e sedano tritati. Aggiungere capperi, olive e passata di pomodoro, mescolare bene e lasciare cuocere per 10 minuti circa. Unire il coniglio rosolato precedentemente e aggiustare di sale e pepe. Coprire e continuare la cottura a fiamma bassissima per 1 ora circa (nel caso il fondo asciugasse troppo aggiungere brodo vegetale o acqua bollenti). Nel frattempo tagliare patate, melanzana e peperone a dadi e friggere in abbondante olio di semi. Asciugare le verdure dall’olio in eccesso su carta da cucina (o per fritti) e unirle al coniglio lasciando cuocere per altri 10 minuti. Unire la menta e il basilico spezzettati, l’altro bicchiere di Porto, lasciare evaporare il vino e servire caldo.





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mercoledì 7 febbraio 2018

Il macco di fave, un confort food tutto siciliano.


Le minestre, in inverno, sono il confort food per eccellenza… almeno a casa mia! Che siano in brodo, di verdure o legumi poco importa, l’importante è che siano calde e saporite.

“Eccheve che vordì “Nonna Minestra”:
‘na gioia antica che s’è fatta rara,
‘na cosa tera tera, ‘na scolara
che nun sapeva d’esse ‘na maestra.”
(cit.)

La loro bontà è stata decantata perfino dal grande Aldo Fabrizi nel libro “Nonna minestra” e le regioni d’Italia (tutte le regioni) hanno una grande tradizione di minestre e zuppe. Per la Giornata Nazionale della Cucina Siciliana secondo Il Calendario del Cibo Italiano cosa meglio di una minestra di fave potevo scegliere? Per la precisione parliamo del macco di fave nella sua versione arricchita dal gusto e dal colore del pomodoro. Buona, calda e rincuorante è uno di quei piatti che fanno parte della grande storia della cucina povera siciliana ma che risale già ai tempi degli antichi Romani, ed è costituito principalmente da fave secche sgusciate e ammollate e tanto finocchietto selvatico. Il suo nome, “maccu”, significa “schiacciare, ridurre in poltiglia” ed è proprio cosi che si prepara, schiacciando man mano in cottura le fave. La ricetta che leggerete sotto è tratta da “La cucina siciliana in 1000 ricette” edito da Newton Compton Editori. E adesso… buon appetito!







Macco con finocchietto e pomodoro

Tempo di preparazione: 2 ore e 30 minuti circa

Ingredienti (per 2 persone):

200 g di fave secche decorticate
100 g di spaghetti spezzati
2 pomodori maturi
½ cipolla
½ mazzetto di finocchietto selvatico
5 cucchiai di olio extra vergine di oliva
Sale
Peperoncino (o pepe nero macinato fresco)

Preparazione

Mettete in ammollo le fave in acqua fredda per 12 ore, sciacquatele e trasferitele in un tegame con abbondante acqua, sempre fredda, e portate a bollore. Pulire, lavare, tagliuzzare il finocchietto ed aggiungerlo alle fave. Coprire
e cuocere, per circa 2 ore, a fiamma moderata, mescolando e
schiacciando ogni tanto i legumi. In una padella a parte, fate appassire la cipolla tritata con l’olio, unite i pomodori pelati, privati dei semi e tagliati a pezzettini, un pizzico di sale e un pezzetto di peperoncino (o pepe nero) e lasciare cuocere per 5 minuti. Unire la salsa ottenuta ai legumi regolando di sale, versare gli spaghetti e portare il tutto a cottura mescolando spesso in modo che non si attacchi al fondo della pentola. Se il liquido di cottura è insufficiente, aggiungere poca acqua alla volta rigorosamente calda. A cottura ultimata irrorare la minestra con l’olio e servire caldo.

Rif.: “Nonna Minestra” di Aldo Fabrizi, Arnoldo Mondadori Editore 1974; “La cucina siciliana in 1000 ricette” di Alba Allotta, Newton Compton Editori s.r.l. 2017.





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mercoledì 13 dicembre 2017

La Cuccia: il grano nella sua tradizione.

Ci sono piatti tradizionali che risalgono ad epoche antiche e i cui ingredienti hanno fatto la cultura culinaria dei popoli. Ricette contadine ricche di ingredienti “poveri” che erano il sostentamento della famiglia. La Cuccìa era uno di questi piatti e oggi il Calendario del Cibo Italiano vuole festeggiarlo. È un piatto a base di grano perlato bollito e condito nei modi più disparati… dal salato al dolce, dalla Campania alla Sicilia, dalla Puglia alla Calabria ogni regione ha la sua versione. I condimenti possono essere vari ed io, per celebrare la giornata, ho scelto una versione pugliese semplicissima ma molto gustosa, tratta dal'opuscolo "La Cuccia - chicchi di grano conditi" Dea Editori. Seguitemi, vi farò vedere come si prepara.





Cranu cu lu sucu (grano con il sugo)*

Ingredienti (per 4 persone)

500 g di grano bollito (cranu stumpatu*)
500 g di passata di pomodoro
80 g di pecorino grattugiato
1 cipolla rossa media
1 mazzetto di basilico
Olio extravergine di oliva, pepe e sale

Preparazione

Sbucciare e affettare la cipolla a rondelle, farla appassire in una padella capiente con un filo di olio e aggiungere la passata di pomodoro e il basilico spezzettato con le dita. Cuocere per 10 – 15 minuti, aggiustare di sale e unire il grano bollito lasciando insaporire il tutto ancora qualche minuto. Servire in tegamini, possibilmente di coccio, spolverizzando di pecorino grattugiato e pepe nero macinato fresco.

*Il cranu stumpatu (grano pestato) è il grano duro perlato. La perlatura si effettua pestando i chicchi in un grosso mortaio di pietra con un pestello di legno, generalmente d’ulivo. Per il trattamento viene prima messo a bagno in acqua per almeno 12 ore. Una volta scolato e asciugato, viene pestato con attenzione fino ad ammorbidirlo ma senza rompere le cariossidi. Prima della cottura lasciarlo a mollo per una notte, lavarlo e lessarlo in abbondante acqua salata per 1 – 2 ore, a fuoco lento senza mai girarlo.


*Di questa ricetta ci sono diverse varianti: con ricotta piccante e salsa di pomodoro fresco, con i ceci, con i frutti di mare e in una frittura di pasta lievitata ripiena di grano bollito, pomodorini e alici.





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sabato 9 dicembre 2017

Petrali: il Natale di casa mia.

Il Natale è fatto di tradizioni che riportano sempre alla memoria profumi e sapori che si ripetono ogni anno. Una delle tradizioni di casa mia ha il profumo intenso di mandarino e cannella… di vino cotto e frutta secca. È fatta di biscotti ripieni di un dolcissimo e profumato miscuglio, che matura e si insaporisce piano piano. Ha la pazienza antica del saper aspettare! Si, perché questi biscotti sono l’attesa del dolce…. la promessa del buono… e la scoperta di profumi antichi e familiari. Gesti pazienti che si tramandano di generazione in generazione e che riportano, ogni anno, alla memoria il profumo che si spandeva per casa e che ti faceva esclamare “finalmente è Natale!”. E anche quest’anno, per Natale, la casa è pervasa dal profumo di petrali! Questo è il nome di questi biscotti ripieni antichi e semplici che, come altri biscotti della tradizione natalizia italiana, sono celebrati oggi dal Calendario del Cibo Italiano. La loro origine è incerta ma si dice che la loro creazione sia dovuta ad un prete e la sua perpetua. Come tante pietanze “povere”, anche questi dolci sono il risultato dei rimasugli della dispensa dei dolci. Il ripieno va preparato con diversi giorni di anticipo in modo che possa sviluppare al meglio i profumi e i sapori si possano fondere in un’armonia di dolcezza e golosità. Provate a farli, magari con i vostri bambini, e vedrete come il profumo del Natale arriverà prima che voi ve ne accorgiate!




Petrali

Ingredienti (per 50 biscotti)

La frolla

500 g di farina debole 180W
2 uova (100 g)
100 g di burro
1 bustina di baking (lievito per dolci)
1 bacca di vaniglia
200 g di zucchero
1 pizzico di sale
La buccia grattugiata di un limone
50 ml di latte (q.b. secondo assorbimento)

Il ripieno

125 g di fichi secchi
50 g di mandorle scure
35 g di noci
50 g di uvetta
½ cucchiaino da tè di cannella in polvere
La punta di un cucchiaino da tè di chiodi di garofano in polvere
20 g di cacao amaro
50 ml di caffè zuccherato
La buccia di ¼ di arancia
La buccia di 1 mandarino
50 ml di marsala secco
75 ml di vino cotto
30 g di zucchero

Procedimento

Per il ripieno (da preparare almeno 3-4 giorni prima)*
Tagliare a pezzi i fichi, metterli a bagno nel vino cotto, insieme a metà della dose di uvetta, e lasciare macerare fino a completo assorbimento. Trasferire poi la frutta ammorbidita in un cutter e frullare tutto molto finemente. Con un pelapatate, prelevate la buccia dell’arancio, facendo attenzione a non intaccare anche la parte bianca che renderebbe amaro il composto, e tritala molto finemente a coltello, insieme alla buccia del mandarino. Tritare grossolanamente, sempre a coltello, mandorle e noci e unirle ai fichi frullati in una ciotola (possibilmente di vetro) sufficientemente grande da contenere tutti gli ingredienti del ripieno. Aggiungere il resto dell’uvetta ammorbidita insieme al suo liquido, le bucce
tritate, le spezie, il cacao, lo zucchero, il marsala e il caffè mescolando e amalgamando bene tutti gli ingredienti. Coprire con pellicola e lasciare macerare il ripieno per 3-4 giorni mescolando ogni tanto. Il composto deve risultare morbido, nel caso fosse necessario ammorbidirlo ulteriormente aggiungere ancora qualche cucchiaio di caffè.

Per la frolla
Setacciare farina e baking e unirli al resto delle polveri (zucchero e sale) in una boulle, o nella ciotola della planetaria munita di foglia, mischiando bene con una frusta. Unire buccia di limone, la polpa della vaniglia e il burro morbido e cominciare ad impastare. Aggiungere le uova e, poco alla volta il latte (la dose può variare in base all’assorbimento della farina) lavorando il tutto velocemente. Formare un panetto compatto ma grezzo, avvolgere in un foglio di pellicola alimentare e lasciare riposare in frigorifero almeno un paio di ore (meglio tutta la notte).

Composizione
Stendere la frolla a circa 5 mm di spessore e coppare dei dischi di 8 cm di diametro. Porre al centro di ogni disco un cucchiaino di ripieno, richiudendolo poi a metà in modo da formare una mezzaluna. Disporre i biscotti su un vassoio e metterli a riposare 10 minuti in congelatore in modo da stabilizzare la struttura dell’impasto. Prima di infornare spennellare con uovo sbattuto e cospargere di “diavulicchi” (confettini di zucchero colorato). Cuocere su teglie microforate in forno a 170° per 20 minuti circa.

*Il ripieno si conserva per più giorni senza problemi, più riposa più si amalgamano gli ingredienti e si sviluppano i profumi e gli aromi.
Per lo stesso motivo, i biscotti si assaporano meglio se gustati il giorno dopo la cottura.






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domenica 26 novembre 2017

Un Paris-brest giallo zafferano

Le spezie fanno parte di un mondo a sé, pieno di aromi, profumi e colori che, se dosati correttamente, regalano ai piatti sfumature spesso inaspettate. In occasione della giornata dello zafferano, il 30 ottobre scorso, il Calendario del Cibo Italiano ha organizzato un tour per le colline di Firenze dove, a Bellosguardo, si coltiva una varietà, tipica della zona, denominata Zima i cui i produttori fanno parte dell’Associazione Comitato Produttori Zafferano delle Colline Fiorentine e del Consorzio Zafferano delle Colline Fiorentine “Zima”. Uno di questi produttori, José Jil, ha appunto aperto le porte della sua piantagione ai partecipanti il tour. 




Nella stessa giornata è stato proposto di creare un dolce con questa spezia e l’occasione era troppo ghiotta e particolare per lasciarsela scappare di mano ma, prima di lasciarvi alla ricetta, qualche piccolo dettagli su questa spezia colorata e preziosa direi che è doveroso.
“Lo zafferano è una spezia che si ottiene dagli stigmi del fiore del Crocus Sativus, conosciuto anche come zafferano vero, una pianta della famiglia delle Iridacee. La pianta di zafferano vero cresce fino a 20–30 cm e dà fino a quattro frutti, ognuno con tre stigmi color cremisi intenso. Gli steli e gli stigmi vengono raccolti e fatti seccare per essere usati principalmente in cucina, come condimento e colorante. Lo zafferano, annoverato tra le spezie più costose del mondo, è originario della Grecia o dell'Asia Minore e fu coltivato per la prima volta in Grecia. Come clone geneticamente monomorfo, si è diffuso lentamente per la maggior parte dell'Eurasia e più tardi è stato portato in aree del Nord Africa, dell'America del Nord e dell'Oceania. Lo zafferano vero, la cui specie selvatica è sconosciuta, probabilmente discende dal Crocus cartwrightianus, originario dell'isola di Creta; il Crocus Thomasii e il Crocus Pallasii sono altri possibili precursori. La pianta è un triploide autoincompatibile il cui maschio è sterile; subisce una meiosi aberrante e quindi non è capace di riprodursi sessualmente in maniera indipendente. La propagazione avviene infatti con
PH Anna Laura Mattesini
moltiplicazione vegetativa, attraverso la selezione di un clone iniziale o per ibridazione interspecifica. Se il Crocus Sativus è una forma mutata del Crocus Cartwrightianus, potrebbe essersi sviluppata come specie, preferita per i lunghi stigmi, da una selezione vegetale nella Creta della tarda età del bronzo. Il sapore dello zafferano e l'odore simile a fieno e iodoformio sono dovuti alle molecole picrocrocina e safranale. Contiene inoltre un pigmento carotenoide, la crocina, che dà una tonalità giallo-dorata ai piatti e ai tessuti. La sua storia documentata comincia con un trattato botanico assiro del VII secolo a.C. compilato sotto il regno di Sardanapalo e per oltre quattro millenni è stato commerciato ed usato. Attualmente la produzione iraniana di zafferano rappresenta il 90% di quella mondiale”.
Fonti Wikipedia

La raccolta degli stigmi viene effettuata rigorosamente a mano e questo la rende una spezia pregiata e costosa, infatti per produrne un kg sono necessari circa 100.000 fiori. Tuttavia il suo consumo va dosato con parsimonia in quanto in dosi eccessive si può incorrere in effetti collaterali anche gravi.

In Italia stanno nascendo diverse nuove coltivazioni avviate da giovani agricoltori e le zone di maggiore diffusione sono Toscana, Abruzzo, Umbria, Marche, Calabria, Sicilia e in Sardegna.

Come accennato sopra, il Calendario ha proposto di creare un dolce allo zafferano e io ho scelto di preparane uno piuttosto semplice nell’esecuzione ma composto da diversi elementi che, assemblati, a mio giudizio regalano al palato una sensazione davvero sublime. Volete sapere di cosa si tratta? Munitevi dei preziosi stigmi e seguitemi in cucina, non ve ne pentirete!

Paris-brest con crema al latte allo zafferano e croccante salato

Ingredienti (per 10 persone circa)

La pasta craquelin
50 g di zucchero di canna
50 g di burro
40 g di farina debole 180W
10 g di farina di pistacchio

Il bignè
150 g di acqua
100 g di latte intero
100 g di burro
1 pizzico di sale
150 g di farina 250 g di uova (5 uova circa)

Il croccante salato
50 g di pistacchi
50 g di noci di macadamia
100 g di zucchero semolato
0,5 g di fiocchi di sale Maldon (o fior di sale)

La crema al latte
800 ml di latte fresco intero
200 ml di panna fresca
160 g di farina debole 180W
150 g di zucchero semolato
15 stigmi di zafferano (0,10 grammi circa)
½ bacca di vaniglia (solo la polpa)

La crema allo zafferano e croccante salato
1 kg di crema al latte
10 g di gelatina animale
50 g di acqua
120 g di panna montata
120 g di croccante salato

Procedimento

Per la pasta craquelin
Impastare tutti gli ingredienti come per una pasta frolla, velocemente senza surriscaldare l’impasto, avvolgere in una pellicola e lasciare riposare in frigorifero almeno un’ora (10 – 15 minuti in congelatore). Dopo il riposo riprendere l’impasto e stenderlo molto sottile (4 mm circa) tra due fogli di carta forno, lasciando poi riposare ancora mezz’ora in frigorifero.

Per il bignè
Portare a bollore acqua, latte, burro e sale in una pentola a bordi alti. Appena inizia a bollire abbassare la fiamma, versare tutta insieme la farina e portare a cottura continuando a mescolare fino a che il composto (polentina) si stacca dalle pareti della pentola lasciandole pulite. Trasferire tutto nella ciotola della planetaria munita di foglia e far evaporare un po’ l’eccesso di calore facendo partire la macchina a velocità media. Quando si è stiepidito l’impasto aggiungere le uova uno alla volta lasciando sempre assorbire bene il precedente. Trasferite il composto in una sac a poche e formare degli spuntoni su una teglia, preferibilmente microforata, tenendoli abbastanza vicini uno all’altro in modo che in cottura prenda la classica forma a ciambella del paris-brest. Riprendere la craquelin ben fredda, copparla con uno stampino in modo da creare dei piccoli dischi e appoggiarli sul bignè. Cuocere in forno a 190°C per 15 – 20 minuti circa, sfornare e lasciare raffreddare completamente.

Per il croccante salato
Tostare leggermente la frutta secca in forno, facendo molta attenzione a non bruciarla, tritarla grossolanamente a coltello fino a formare una granella e tenere da parte. Scaldare bene sul fuoco un pentolino dal fondo pesante e fare un caramello biondo aggiungendo un poco alla volta lo zucchero, mischiato al sale, man mano che si scioglie continuando a mescolare. Quando il caramello è pronto allontanare dal fuoco, aggiungere la granella di frutta secca e mescolare immediatamente amalgamando il tutto. In questa fase bisogna essere molto veloci perché il caramello si rapprende in fretta. Stendere ancora caldo, facendo attenzione a non bruciarsi, su un silpat o un foglio di carta forno e lasciare raffreddare bene. Spezzare il croccante in piccoli pezzi e tenere da parte.

Per la crema al latte
Dalla dose di latte in ricetta prelevarne 80 g circa, riscaldarlo un po’ e metterci in infusione gli stigmi di zafferano*. Coprire bene (preferibilmente con pellicola a contatto) e lasciare riposare almeno 24 ore in frigorifero. Al momento dell’utilizzo filtrare il liquido, eliminando gli stigmi, e tenere da parte.
Setacciare la farina nella pentola dove cuocere la crema, unire lo zucchero e mescolare bene con una frusta. Unire la polpa di vaniglia e aggiungere, poco per volta, latte e panna mescolati insieme facendo attenzione a non formare grumi. Portare su fuoco moderato mescolando di continuo e lasciando cuocere fino a che non comincia a prendere spessore la crema, abbassate la fiamma e lasciate cuocere bene*. Qualche minuto prima della fine della cottura aggiungete il latte allo zafferano e amalgamate bene. A cottura ultimata allontanare dal fuoco e versare la crema in una boulle immersa in acqua fredda continuando a mescolare in modo che possa raffreddare bene.  Coprire con pellicola a contatto e conservare in frigorifero.

Per la crema allo zafferano e croccante salato
Idratare la gelatina nella sua dose di acqua. A completo assorbimenti strizzarla e scioglierla in poca crema riscaldata, amalgamare bene, filtrare con un colino a maglie fitte e unire al resto della crema fredda, mescolando accuratamente. Lasciare in frigorifero a rassodare. Frullare grossolanamente in un cutter il croccante fino a ridurlo in granella. A parte montare la panna a “lucido”. Riprendere la crema allo zafferano e mescolare con una frusta fino a renderla liscia e lucida, unire la granella di croccante e amalgamare con cura. Aggiungere, in due volte e mescolando delicatamente dal basso verso l’alto, la panna montata fino a completo assorbimento.

Finitura
Tagliare il bignè in orizzontale con un taglio più preciso possibile ottenendo due parti uguali. Riempire di crema una sac a poche munita di bocchetta rigata e formare degli spuntoni nella parte bassa del bignè, coprire tutto appoggiando l’altra metà del bignè sopra la crema. Decorare spolverizzando di zucchero a velo e piccole “pepite” di croccante.

N.B.: *Perché gli stigmi dello zafferano sprigionino il loro aroma e rilascino il loro colore in modo corretto hanno bisogno di un periodo di infusione in un liquido (acqua, latte, ecc.). Essendo però termolabile la temperatura di infusione non può essere elevata altrimenti le caratteristiche organolettiche della spezia vengono alterate. Qualsiasi sia il liquido che si sceglie per l’infusione è preferibile che la sua temperatura sia appena intiepidita e che i tempi di infusione siano il più possibile rispettati in modo che il risultato sia quello corretto.


*Le creme addensate con farina richiedono una cottura più prolungata delle creme pasticcere classiche. La temperatura ideale da raggiungere con questo addensante, per evitare il rilascio dei liquidi e la perdita di consistenza (sineresi), è di 90° - 92°C. Temperatura che, in questo caso, si può raggiungere senza il rischio che all'olfatto si avverta un sentore di zolfo in quanto questa crema è completamente priva di uova.




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lunedì 6 novembre 2017

Quando la frutta incontra la brisèe: tortino di pere e noci.

Quando penso ad un dolce semplice per concludere un pasto rustico mi viene in mente un piccolo tortino con un guscio sottile e un ripieno morbido di frutta. Nella giornata della Pera per il Calendario del Cibo Italiano ho preparato un tortino la cui ricetta è stata pubblicata su Cucina Italiana tempo fa. Il guscio è una pasta brisèe semplice ma gustosa e il suo ripieno ha delle morbide pere al vino e croccante frutta secca. L’ho riprodotta esattamente come letta sulla rivista e, visto che non era specificato il tipo di vino da usare per cuocere la frutta, io ho utilizzato del Porto che le dà un’ulteriore dolcezza. Lo trovo perfetto da servire anche tiepido, magari accompagnato da un buon gelato alla vaniglia (troverete la ricetta qui). 

  

Tortino di pere e noci


Tempo di preparazione: 1 ora e 20 minuti + 30 minuti per il riposo)

Ingredienti (per 4 pie):

Pasta brisée
300 g di farina 0
150 g di burro
70 g acqua
Sale

Ripieno
30 g di biscotti secchi
20 g di mandorle bianche
15 g di gherigli di noce
2 pere (350 g circa)
100 g di vino rosso
40 g di zucchero
1 uovo per spennellare
 Burro per gli stampi

Procedimento

La pasta brisée
Impastate farina, burro, un pizzico di sale e l’acqua fino a formare un panetto sodo e liscio, avvolgetelo in una pellicola per alimenti e lasciate riposare in frigo per 30 minuti.

Il ripieno

Sbucciate le pere, eliminatene il torsolo e tagliatele a piccoli pezzi. Cuocetele con il vino e lo zucchero per 5 minuti, fatele raffreddare e unite mandorle, noci e biscotti tritati. Stendere la pasta a 5 mm e foderate 4 stampini (da 8 cm di diametro e 4,5 cm di altezza) imburrati e con il fondo ricoperto da un disco di carta forno. Forare il fondo con i rebbi di una forchetta, riempire con il ripieno e coprire con un disco di pasta grande a sufficienza da poter chiudere le tortine e sigillare bene pizzicandone i bordi. Forare la parte superiore formando un camino per la fuoriuscita del vapore e decorarlo con una margherita di pasta. Spennellare di uovo e cuocere in forno a 185°C per 36-40 minuti.  





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lunedì 23 ottobre 2017

C'era una volta un tortello... in millefoglie mantovane.

Io adoro il colore della zucca, mi riporta sempre al calore dell’estate! Ed è proprio quest’ortaggio che caratterizza una delle ricette più tradizionali della gastronomia italiana: i tortelli di zucca. Oggi il Calendariodel Cibo Italiano celebra proprio questa preparazione e, in occasione della giornata, è partito il contest "c'era una volta un tortello" in base al quale diverse foodblogger rivedono e rielaborano il tortello trasformandolo in un piatto unico ed originale. Le preparazioni mantengono gli ingredienti base del tortello tradizionale ma sono rielaborati secondo la fantasia dei partecipanti. Io ho pensato di tradurlo in un dolce, un millefoglie, che è sempre nella tradizione italiana ma con la particolarità di una base che, per antonomasia, è prettamente un grande primo piatto della gastronomia mantovana. Venite con me in cucina e vi mostro come l’ho immaginato.



C’era una volta un tortello… millefoglie mantovane.

Ingredienti (per circa 15 millefoglie)

Per la sfoglia circa 45 sfoglie)
80 g di farina tipo 1
20 gr di grana padano (stagionato 18 mesi)
1 uovo
Un pizzico di sale

Per la crema
670 g di zucca soda e asciutta cotta in forno
80 g di zucchero semolato
Noce moscata e cannella un pizzico
Sale un pizzico
Latte q.b. (se necessario)
40 g di mostarda mantovana senapata

Per decorare
Zucchero a velo
Amaretti
Zucca caramellata*
Mostarda mantovana senapata

Procedimento

Per la sfoglia
In una ciotola versare la farina, il parmigiano, il sale e formare una fontana. Sgusciare l’uovo e versarlo al centro della fontana amalgamando tutto con una forchetta partendo dal centro e raccogliendo man mano la farina fino ad incorporarla tutta al resto. Versare il composto sulla spianatoia e continuare ad impastare fino a formare un panetto liscio e sodo, avvolgerlo in una pellicola e lasciare riposare una mezz’ora. Trascorso il tempo di riposo tirare la pasta sottile, copparla con un tagliapasta rotondo di circa 5 cm di diametro e lessare in acqua bollente poco salata per 2-3 minuti, scolare e far asciugare su un canovaccio pulito. Friggere i dischi di sfoglia in olio profondo a 170°C, scolarli e trasferirli su della carta assorbente per eliminare l’eccesso di unto.

Per la crema
Trasferire la polpa della zucca nel bicchiere del frullatore e frullare bene fino a ridurla in crema. Trasferirla in un pentolino, unire lo zucchero, il sale, le spezie e scaldare bene in modo che lo zucchero si sciolga. Se la crema è troppo densa diluire aggiungendo del latte (versatene qualche cucchiaio alla volta per non rischiare che la crema diventi eccessivamente “lenta”). Una volta pronta trasferirla in una ciotola e lasciare raffreddare bene, amalgamare la mostarda tagliata in piccoli pezzi e tenere da parte.

Per la zucca caramellata*
Tagliare a cubetti piccoli un pezzetto di zucca e farli saltare in padella con unna piccola noce de burro e un cucchiaio abbondante di zucchero lasciando cuocere fino a che quest’ultimo non sia caramellato. Aggiungere un cucchiaino di miele d’acacia e quando la zucca comincia a diventare lucida allontanare dal fuoco, aggiungere 1 cucchiaio di acqua calda per evitare che il caramello diventi solido, riportare qualche secondo sul fuoco, mescolare bene e tenere da parte.

Montaggio

Alternare tre strati di sfoglia di pasta a due strati di crema. Decorate spolverizzando con zucchero a velo, amaretti sbriciolati e qualche cubetto di zucca caramellata e mostarda.






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venerdì 18 agosto 2017

L'orzata dell'Artusi (la parte rinfrescante di un'estate bollente).


Questa estate è la più calda che io ricordi. L’afa non dà tregua e si cerca refrigerio dovunque sia possibile trovarlo. Per la verità mai come quest’anno i condizionatori hanno lavorato a pieno regime e nemmeno la sera si riesce a respirare. Bibite fresche a base di frutta e tè vari la fanno da padroni, nel tentativo di trovare un po’ di frescura, e gli sciroppi sono una parte integrante di questo mondo accaldato. 
Nella giornata del Calendario del Cibo italiano dedicata proprio a loro e ai liquori, io ho voluto provare a preparare l’orzata, uno degli sciroppi che mi riportano all’ infanzia, quando mamma per merenda ci preparava biscotti e un bicchiere di questo liquido bianco e dolce che: “dovete crescere e avete bisogno di energie, bevetelo che vi fa bene”. 
Sono andata a cercare un po’ il significato e l’origine di questa bevanda e ho scoperto che, al contrario di quello a cui siamo abituati oggi, una volta l’orzata era preparata con l’orzo fermentato (da cui appunto il nome). La bevanda a cui invece siamo abituati oggi è a base di mandorle pestate, zucchero, acqua e acqua fiori di arancio. 
Girando un po’ qua e un po’ là tra il web e i libri, ho visto quella dell’Artusi (si, sempre lui!) su "La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene" ed è stata quella che mi ha attirata di più. Rispetto alla ricetta del Pellegrino io ho omesso la dose di acqua di fiori di arancio, è un aroma che non mi piace molto e ho pensato che avrebbe coperto un po’ troppo, per i miei gusti, il gusto delle mandorle. Per chi volesse seguire alla lettera la ricetta originale, la dose dell’aroma è di due cucchiai da aggiungere alle mandorle nella prima fase di “pestatura” al posto della semplice acqua che ho usato io. 
Il risultato comunque è davvero ottimo. Se ne ricava uno sciroppo che, diluito nelle giuste dosi, è davvero gustoso e fresco, esattamente come quello che bevevo da piccola. Della serie: come un bicchiere di sciroppo può rinfrescarti la vita… e la memoria!




Orzata

Ingredienti (per 800 cl circa)

150 g di mandorle sgusciate (di cui 9-10 armelline)
600 g di zucchero semolato fine
450 g di acqua

Procedimento

Pulire le mandorle dalla pellicina esterna e tritatele grossolanamente con un coltello, versate tutto in un mortaio e pestatele, aiutandovi con qualche cucchiaiata di acqua prelevata dalla dose in ricetta, fino a ridurle in una poltiglia finissima. Per praticità si possono frullare, sempre aiutandovi con un poco di acqua, con un buon cutter, avendo però l’accortezza di tenerle almeno mezz’ora in congelatore in modo che siano ben fredde e usando la funzione “pulse” per frullarle in modo che non si riscaldino troppo e tirino fuori l’olio. 
Diluite la “pasta” ottenuta con un terzo dell’acqua in ricetta e filtratela attraverso un canovaccio pulito strizzandolo e raccogliendo il succo in una ciotola. Rimettete nel mortaio (o nel cutter) la poltiglia rimasta, ormai asciutta, e pestare (o frullare) ancora sciogliendola nuovamente con un altro terzo di acqua, filtrando e strizzando di nuovo raccogliendo il succo. Ripetere una terza volta l’operazione trasferendo tutto il succo ottenuto in una pentola. 
Far riscaldare sul fuoco, aggiungere lo zucchero facendolo scioglie e lasciare bollire per 20 minuti a fuoco basso mescolando ogni tanto. 
Quando lo sciroppo è ben freddo imbottigliare e conservare in frigorifero. 
Consumarla in piccole dosi sciolte in acqua ben fredda (le proporzioni in genere sono di 1:6 cioè 1 parte di sciroppo per 6 di acqua).




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sabato 29 luglio 2017

La caponata: a casa mia si fa così.

I piatti tradizionali italiani sono sempre ricchi di storia, ingredienti ma soprattutto di bontà, a maggior ragione se si parla di piatti di verdure, estive in questo caso. E cosa c’è di più estivo di una caponata? La sua origine è siciliana e già nell’isola le versioni sono tantissime: palermitana, messinese, trapanese, agrigentina, catanese… insomma, ogni città ha la sua. Con il sedano o senza, con il pomodoro passato oppure a pezzi, alcuni usano pinoli e uvetta altri solo mandorle, qualche versione comprende diversi tipi di verdure invece in altre ci sono solo melanzane. Tutte però sono d’accordo su una cosa: la salsa agrodolce non deve mancare. Nella Giornata Nazionale del Calendario del Cibo Italiano dedicata proprio a questa bontà, io vi propongo la mia di versione, che è una fusione di tutto quello che è la caponata siciliana in generale ma con un’aggiunta che, secondo me, dà quel tocco in più ad un piatto che davvero è uno dei simboli di una terra ricca e solare come la Sicilia.




La mia caponata

Ingredienti (per 4 persone)

1 melanzana grande
4 zucchine
1 cipolla di Tropea
50 g di capperi sotto sale
6 o 7 olive verdi
25 g di pinoli
25 gr di uva passa
2 pomodori ramati
¼ di bicchiere di aceto bianco
1 cucchiaio abbondante di zucchero semolato
½ cucchiaio di cacao amaro
Qualche foglia di basilico
Sale, olio evo

Procedimento


Lavare e tagliare la melanzana a cubetti e immergerla in un recipiente colmo di acqua salata, facendo in modo che i cubetti siano completamente immersi magari ponendoci sopra un piatto, per un’ora (questa operazione farà sì che la melanzana perda la sua
parte amara senza che si scurisca). Tagliare allo stesso modo anche le zucchine e tenetele da parte. Nel frattempo dissalate i capperi mettendoli a bagno in acqua fredda, snocciolate le olive e tagliatele a filetti, tagliate la cipolla a fettine sottili. Eliminate pelle e semi dei pomodori e riducete la polpa a dadini. Estrarre dall’acqua le melanzane strizzandole per eliminare l’acqua e asciugarle con un canovaccio pulito. 
Friggere separatamente in olio melanzane e zucchine lasciando queste ultime al dente e tenendo tutto da parte. In una padella capiente sfumare la cipolla con un filo di olio e un pizzico di sale, aggiungere pomodori, capperi, olive e lasciare rosolare il tutto. Aggiungere lo zucchero e lasciare caramellare un paio di minuti. Versare l’aceto lasciandolo evaporare, spolverizzare di cacao amalgamando in modo che non si formino grumi e aggiustare di sale se necessario. Unire melanzane e zucchine lasciando insaporire a fuoco basso e mescolando delicatamente ogni tanto per non far attaccare il fondo di cottura. Cospargere di basilico tritato e spegnere la fiamma. 
Servire tiepido o freddo.





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